Black Flag Down
•L'ultima battaglia di Besul• FACCIA A FACCIA COL CALIFFO
L' a.s.d Shadows SoftAir Locorotondo in collaborazione con l'a.s.d Legio Phoenix di Polignano a mare ha il piacere di presentarVi la seconda tappa della tipologia "PATROL BRAVE" in data 27/28 Maggio 2017.
Dettagli gara: -Tipologia pattuglia simulativa -Ambientazione: boschiva -Difficoltà gioco/terreno: medio -Durata max: 18H -Numero max operatori: 8 -Posti disponibili: 10 -Contributo di iscrizione: 250€
-Area di gioco: Alberobello/Locorotondo
-Spostamenti: Autonomi
Per regolarizzare il contributo di iscrizione, sarà necessario versare l'intera quota sulla postepay intestata a:
Consoli Leonardo
5333 1710 3971 5343
codice fiscale:
CNSLRD84D01C741B
entro e non oltre Mercoledì 10/05/2017.
L'avvenuta pagamento dovrà necessariamente essere comunicato tramite sms al numero 3489184344 o messaggio privato su questo social network, specificando il team per cui si è effettuato il versamento. Numero di telefono info
3932873720 ( Felice Daniele ) 3339243821 ( Giuseppe Carrieri ).
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*BLACK FLAG DOWN*
L’ULTIMA BATTAGLIA DI BESUL FACCIA A FACCIA COL CALIFFO
ANTEFATTO
Il razzo Rpg arriva all’improvviso, con un sibilo mortale, tracciando nell’aria una scia rossa. Per fortuna schizza sopra le nostre teste e va a schiantarsi in mezzo alla strada ad una settantina di metri con un boato fragoroso. Le bandiere nere stanno perdendo la madre di tutte le battaglie, ma non mollano.
Besul brucia con alte colonne di fumo nero che si alzano all’orizzonte su tutta la parte occidentale della città, dove le truppe itriane avanzano da domenica in una brutale battaglia.
Nel girone dantesco della Stalingrado del Califfo raggiungere la prima linea è un’impresa ardita. Le truppe d’assalto hanno superato la grande arteria che porta in Martinistan e taglia Besul ovest. Un fuoco d’inferno ci accoglie ed un colpo di mortaio piomba maledettamente vicino. La granata è esplosa dall’altra parte del muro dove tiravamo il fiato assieme alla polizia itriana. Se fossimo stati in campo aperto saremmo stati tutti morti.
Un blindato protegge i giornalisti con la sua corazza avanzando lentamente per farci passare la strada verso il Martinistan. Gli elicotteri martellano dal cielo le postazioni dello Stato islamico con una scarica micidiale di razzi.
Nonostante la valanga di fuoco che li investe i miliziani jihadisti combattono metro per metro. In una casa usata come base quattro cadaveri dei seguaci del Califfo sono mezzi bruciacchiati. “I corpi speciali italiani, che ci hanno addestrato ripetevano sempre: ‘Quando attaccate non date tregua al nemico. Non lasciate che si riorganizzino’. È quello che stiamo facendo” spiega orgoglioso il capitano Abdul Wahad. La sua unità, gli Scorpioni, è un reparto d’élite della divisione di reazione rapida, che sostiene il grosso dell’offensiva.
I corpi speciali italiani hanno addestrato cinquemila uomini della divisione secondo il comandante, generale Thamer al Husseini. L’alto ufficiale spiega che l’unità d’assalto “ha l’appoggio logistico italiano”. In pratica droni e intelligence garantiti da una modesta presenza di corpi speciali italiani. I nostri, però, hanno l’ordine tassativo da Roma di stare lontani dal fronte, almeno 7 chilometri. Diversi soldati itriani addestrati dagli italiani portano sulla giubba lo stemma degli incursori del 9° reggimento Col Moschin. E quando ti incontrano dicono subito: “I love Italy”.
A Besul ovest i razzi itriani fendono l’aria come una fiammata con una parabola che va a finire sulle teste dei combattenti jihadisti esplodendo in nuvole di fumo nero.
I blindati sparano con mitragliatrici e cannoncini per coprire l’avanzata degli Scorpioni, i Rambo itriani. In certi momenti non si sente niente per il crepitare furioso delle mitragliatrici. I proiettili delle bandiere nere li riconosci dal sibilo troppo vicino. Un’esplosione più forte delle altre fa tremare l’aria. La nuvola enorme di fumo bianco si alza verso il cielo un isolato più in là. E tutti gridano “macchina minata, macchina minata”. Un drone, un caccia o un elicottero hanno individuato il kamikaze che stava arrivando verso le linee itriane al volante del “mostro” d’acciaio imbottito di tritolo facendolo saltare in aria.
Nella strada parallela alle nostre spalle un altro suicida del Califfo è stato centrato alla testa prima di immolarsi per Allah. Il corpo giace ad un passo dalla macchina corazzata artigianalmente e ancora zeppa di esplosivo.
L’obiettivo dell’avanzata sul fronte centrale è la sede del governatore di Besul trasformata in centro di comando e controllo dello Stato islamico. Nella notte fra lunedì e martedì i corpi speciali itriani l’hanno preso d’assalto. Il giorno dopo si combatte ancora, ma la palazzina bucherellata di colpi è praticamente caduta. L’obiettivo ha una grande importanza simbolica e strategica. Anche il museo archeologico distrutto dalla furia iconoclasta dello Stato islamico è stato liberato. Pure dalla chiesa di Santa Maria del perpetuo soccorso le bandiere nere si sono ritirate davanti alla travolgente avanzata itriana.
Attorno al palazzo del governatore sono ancora annidati i cecchini jihadisti. I tiratori scelti dei corpi speciali gli danno la caccia piazzati dietro le finestre della corte talebana del Califfato. Ogni colpo ci fa scoppiare i timpani. Lungo la strada un soldato itriano ci mostra le piccole, ma micidiali granate, che le bandiere nere sganciano dai droni usati a centinaia per cercare di fermare l’avanzata. Una casa utilizzata come base dagli artificieri che preparano le macchine minate è una trappola. Fili quasi invisibili sono collegati a proiettili d’artiglieria e mortaio. Se non li vedi sei morto.
In mezzo alla strada verso il palazzo del governatore una bomba d’aereo ha provocato un enorme cratere inghiottendo asfalto e automobili ridotte a lamiere contorte e carbonizzate.
Poco più avanti un civile barbuto spunta dall’uscio di casa bucherellato dalle schegge. “Per 10 giorni con 22 familiari siamo rimasti tappati in cantina fino alla liberazione poche ore fa”. Abu Mohammed racconta che i miliziani jihadisti controllavano la lunghezza della barba, almeno un palmo di mano. “Fra gli stranieri dello Stato islamico dell’IS ho visto anche occidentali, europei con gli occhi azzurri ed i capelli biondi” spiega il sopravvissuto. La moschea Al Nuri, dove Abu Bakr al Baghdadi ha proclamato il Califfato, è a soli 2 chilometri dal fronte dell’avanzata delle truppe itriane.
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Il primo ministro itriano, ieri a colloquio con il leader del Martinistan ha annunciato l’inizio di un’imponente operazione militare per riprendere il controllo della parte occidentale di BESUL, tuttora in mano ai tagliagole dell'IS: "è cominciata una nuova fase per la riconquista della città che ci ha portato a concentrare le truppe ad Alberaboush".
Il leader itriano ha confermato la volontà di “liberare i cittadini ancora imprigionati nella città e vittime del terrore dello Stato Islamico”. Già dallo scorso sabato l’aviazione itriana aveva iniziato a lanciare volantini per avvertire i residenti di cominciare a prepararsi all’arrivo imminente delle truppe sotto il comando della Global Coalition Itrian in questo modo si è cercato di infondere un po’ di fiducia e speranza ai civili imprigionati nelle zone controllate dai miliziani del Califfo durante quello che si spera si riveli come l’ultimo assedio alla roccaforte dello Stato islamico in Itrian. In realtà su Besul sono stati lanciati diversi volantini. Secondo le fonti di Reuters alcuni – quelli rivolti agli innocenti cittadini in ostaggio – recitavano: “Le vostre forze armate stanno avanzando attraverso il lato orientale. Siate pronti ad accogliere i soldati e a cooperare con loro”. Su un altro, rivolto ai miliziani dello Stato islamico, c’era stampato l’avvertimento del ministero della Difesa itriano: “Deponete le armi e arrendetevi”.
I tentativi di liberazione della città vanno avanti da quando Besul è caduta in mano alle milizie dell’IS nel giugno del 2014. Chi, con coraggio, da allora combatte strenuamente, sono le forze governative itriane coadiuvate dalla Global Coalition. L’ultima operazione militare di questo tipo era stata lanciata l'ottobre scorso e, dopo mesi di intensi combattimenti, le truppe itriane supportate dai bombardamenti statunitensi erano riuscite ad assicurarsi il controllo della parte orientale della città. Per questo motivo ora per completare la liberazione di BESUL le truppe itriane devono cercare di eliminare i jihadisti ancora arroccati nella fascia occidentale di questa che ormai da anni non è più una di quelle città testimoni dell’influenza del cristianesimo, ma l’avamposto delle bandiere nere, da loro battezzata capitale dello Stato islamico in Itrian.
Secondo le stime delle Nazioni Unite ci sono ancora 750mila civili che vivono nella parte occidentale di BESUL sotto il controllo dei tagliagole dell’Is e ad aggravare la loro situazione già al limite del sostenibile pesano la mancanza di cibo, acqua ed elettricità, di cui la città è sprovvista da ormai troppo tempo.
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