Note storiche
L’uniforme da combattimento denominata 1968 Pattern o DPM 68 (Disruptive Pattern Material) fu il risultato di un’evoluzione iniziata già alla fine della seconda guerra mondiale.
Il fante inglese terminò il conflitto sul fronte europeo indossando la Battledress Pattern 1940: fabbricata in pesante panno di lana, derivava da un modello della fine degli anni ’30 e non aveva subito, nel corso della guerra, particolari miglioramenti o aggiornamenti nel materiale e nel taglio.
L’esercito americano, al contrario, aveva affrontato il conflitto con vestiario decisamente più adeguato, introducendo, già nel 1943, il cotone al posto della lana e inaugurando il sistema di abbigliamento “a strati”.
Nell’immediato dopoguerra, resisi conto della superiorità del materiale statunitense, gli inglesi rinnovarono radicalmente la propria tenuta, testando un’uniforme che riprendeva nel design e nei materiali proprio la combat dress americana.
Il primo risultato di questi studi fu il 1950 Pattern: composto essenzialmente da giaccone (smock) e pantaloni (trousers) , venne realizzato in cotone verde oliva e trattato chimicamente per risultare idrorepellente.
La nuova uniforme avrebbe dovuto esser sottoposta ad una serie prolungata di prove ma la guerra in Corea ne accelerò l’entrata in servizio: le truppe di stanza in Estremo Oriente erano infatti ancora equipaggiate con materiale risalenti al secondo conflitto mondiale e dovettero ricorrere a consistenti “prestiti” di materiale americano per sopperire alle deficienze dell’ormai obsoleto Pattern 1940.
Fu quindi avviata la produzione su vasta scala del Pattern 1950 in modo che, già nell’inverno del ’51, la maggior parte delle truppe in prima linea risultasse equipaggiata con la nuova tenuta, integrata da appositi liner che garantissero un maggior confort alle basse temperature, tipiche dell’inverno coreano.
Il nuovo equipaggiamento venne designato ufficialmente CWWV, Cold Wet Weather Uniform:letteralmente, “uniforme per clima freddo e umido”.
Il conflitto mostrò la bontà di fondo del Pattern ’50, rimasto in produzione per diversi anni: solo alcuni particolari di poco conto permettono così di distinguerlo dalla sua evoluzione, il Pattern ’60, introdotta dopo un decennio dall’inizio della guerra di Corea.
Gli esperimenti condotti durante il secondo conflitto mondiale sulle uniformi policrome stavano fornendo i propri frutti e l’Esercito britannico si era mosso in questa direzione già all’inizio degli anni ’40, introducendo tra i paracadutisti un giaccone in tessuto mimetico, denominato Denison smock.
Lo schema si era dimostrato perfettibile, ma gli Stati Maggiori erano comunque riusciti a dimostrare i vantaggi di un tessuto mimetico che compensava ampiamente i costi elevati relativi alla sua produzione.
Verso la metà degli anni ’60 venne quindi avviata la sperimentazione di uniformi policrome destinate a tutti i reparti indistintamente, e non più esclusivo appannaggio di unità ben circoscritte.
Al contempo si lavorò per superare i difetti del pattern 60, il cui design era spesso bollato come “very loose and baggy” (letteralmente: “allentato e rigonfio”) e un occhio di riguardo fu anche posto ad una semplificazione della produzione, così da mantenerne i costi.
Il nuovo pattern venne da subito progettato in due versioni, una più pesante, destinata ad operazioni continentali, ed una concepita per l’ambiente tropicale, più leggera e di più rapida asciugatura: quest’ultima, anche se in fase sperimentale, venne distribuita già nel 1966.
Per questo motivo, a fianco della denominazione ufficiale di DPM 1968, è frequente trovare anche l’indicazione di Pattern 66/68.
La versione continentale del Pattern 68 è composta da 2 capi, Smock Man’s Combat e Trousers Man’s Combat.
Entrambi sono realizzati con un cotone relativamente pesante (sateen cotton), stampato in uno schema mimetico a 4 colori (kaki, verde pallido, marrone e nero) e vengono interamente foderati con una sottile (nonchè decisamente fragile) stoffa di cotone popelin verde; poiché le parti non foderate sono realizzate con un doppio strato di tessuto, il verso della tela non è visibile praticamente in alcun punto, se non in prossimità dell’orlo inferiore dei pantaloni, dove, rivoltando il capo, è possibile notare come sia sostanzialmente bianco. La versione più diffusa prevedeva che le chiazze marroni e nere potessero avere i contorni “pallinati”, ma alcuni fabbricanti semplificarono la schema, limitandosi ad una stampa con macchie dai bordi netti.
Al termine del ciclo di confezionamento la stoffa veniva trattata chimicamente per essere idrorepellente, anche se i risultati non furono mai esaltanti.
Nel complesso la realizzazione è comunque piuttosto curata: i materiali sono di ottima qualità, le cuciture raddoppiate nei punti di maggior sforzo ed il design assicura una vestibilità non priva di una certa eleganza.
Il piano di distribuzione del nuovo pattern fu indicativamente:
- 1968 iniziano le prime consegne alle unità regolari dell’Army;
- 1972 il DPM 68 è ormai standard in quasi tutti i reparti come Tenuta n. 8 (continentale) e Tenuta n. 9 (tropical);
- 1972 il pattern viene assegnato anche ai Parà, ma fino al 1978 circa il giaccone rimarrà il “giubbotto Denison”, poi sostituito dal Para Smock 68, che ne erediterà il design;
- 1975 anche il Territorial Army adotta il DPM 68;
- 1982 iniziano le consegne all’ Army Cadet Force;
- 1985 presso l’Army comincia la sostituzione con il nuovo Pattern 84.
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Lo smock è caratterizzato da 4 tasche frontali.
Quelle inferiori, piatte, cucite diritte, di forma pressoché quadrata, misurano approssimativamente 20x20 cm; i lati sono leggermente inclinati verso l’interno così che la base inferiore sia più larga dell’imboccatura. Le tasche superiori, di forma rettangolare (14x19 cm) ed anch’esse senza soffietto, sono cucite angolate verso l’interno, così da consentire un accesso più comodo. Tutte e quattro sono completate da una patta a punta, chiusa da un bottone a 4 fori di colore verde scuro.
Il capo si chiude frontalmente tramite una robusta zip in metallo ad un solo cursore, protetta da uno storm flap fermato da 4 bottoni identici a quelli delle tasche; un ulteriore bottone è cucito sul risvolto del colletto e permette di bloccarlo sollevato.
L’interno dello smock, interamente foderato, presenta una tasca “portadocumenti” sul lato sinistro e, all’incirca all’altezza dei reni, una sorta di largo e basso “carniere”: una cucitura verticale lo divide in 2 scomparti diseguali (quello di sinistra è molto più stretto dell’altro) e la chiusura è affidata a due bottoni, che svolgono anche la funzione di bloccare la donkey tail .
Sia la tasca portadocumenti che il “carniere” sono realizzate con lo stesso tessuto verde oliva della fodera, la donkey tail con il più pesante materiale mimetico. Viene fissata anteriormente tramite 3 coppie di bottoni posizionate a differenti altezze in modo da garantire l’adattabilità alle diverse corporature.
Sulla parte alta del dorso, in corrispondenza della giunzione con il colletto, è cucito un occhiello che consenta di appendere lo smock.
Un laccio di colore verde scuro che scorre in una sorta di tunnel ricavato nella fodera, permette di stringere la giacca in vita e un’identica soluzione è adottata anche per il bordo inferiore.
Sulla manica sinistra è presente una taschina portapenne di forma rettangolare (circa 17x8 cm), divisa in due scomparti di diversa larghezza separati da una cucitura: la chiusura è affidata all’usuale patta con bottone a 4 fori.
L’identico sistema di ritenzione è usato per i polsini (regolabili in due posizioni), per le spalline e per il cappuccio, che condividono anche l’uso degli stessi bottoni (un terzo è posto centralmente, dietro il colletto).
La posizione delle etichette (scritta nera su fondo verde) varia a seconda del fabbricante e del periodo di produzione: si possono trovare esemplari forniti di due etichette distinte (una per la taglia, una per i consigli sull’uso) o di una sola etichetta che comprende entrambe le informazioni. La taglia viene indicata sia con la vecchia numerazione (cifre da 1 a 8) sia con la corrispondente NATO size (composta da 2 gruppi di 4 cifre) ed è accompagnata dal nome del produttore.
Sulle istruzioni è riportato di lubrificare la zip così da garantirle una costante scorrevolezza e di non usare la forza per risolvere eventuali inceppamenti. Seguono suggerimenti su come garantirsi un maggior confort alle basse temperature (chiudere i polsini, stringere i lacci in vita e sotto le anche, abbottonare la patta frontale eccetera) e le istruzioni su come fissare il cappuccio.
Quest’ultimo (Hood Man’s Combat) è di fattura molto semplice, foderato un tessuto verde oliva e presenta sul bordo anteriore il “solito” laccio per stringerselo intorno al volto. Si fissa allo smock utilizzando il bottone fissato dietro al colletto e quelli che fermano le spalline.
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I pantaloni del Pattern 68 sono realizzati nello stesso schema mimetico e con gli stessi materiali dello smock: perfino i bottoni sono identici (4 fori, diametro 1,8 cm, colore verde scuro), cosa che deve aver certamente aiutato a contenere i costi e semplificare la logistica.
Ad eccezione degli esemplari di pre-serie, che su derivazione del modelli precedenti presentano una sola cargo pocket sulla gamba sinistra, i capi distribuiti a partire dal 1968 sono caratterizzati da due tasche cosciali piatte di grandi dimensioni (circa 18x20,5 cm) con patta di chiusura.
Sono anche privi di rinforzi sulle ginocchia.
Retaggio della Battledress del secondo conflitto mondiale è la field pocket cucita frontalmente, a destra della cerniera: senza patta, chiusa da un bottone, di forma stretta e allungata (10x16 cm circa), mostra un disegno elaborato in quanto espandibile, ed era destinata, secondo le intenzioni, a contenere un pacchetto di medicazione.
Sul retro, a destra, c’è un’unica tasca aperta e altre due, interne a taglio verticale, sono posizionate sui fianchi.
La chiusura dei pantaloni è affidata ad una zip con denti metallici ed al solito bottone; cinque passanti abbottonati permettono l’impiego di una cintura alta fino a due pollici, come quella del Webbing 58.
Un altro sistema per regolare il girovita è rappresentato da due fettucce laterali: intercettando un bottone, permettono di restringere la taglia di un paio di centimetri.
Sono previsti inoltre tre punti di attacco per le bretelle, ognuno costituito da una fettuccia e da una coppia di bottoni verde oliva uguali a quelli della versione tropicale del Pattern 68.
L’interno è interamente foderato da una morbida stoffa di cotone verde oliva che parte dalla vita e si arresta qualche centimetro sopra al laccio inserito nell’orlo alla caviglia: per evitare che esca dalla propria sede, la fodera è trattenuta da due fettucce poste all’interno.
Le etichette, di colore verde scuro, sono cucite all’interno all’altezza della vita e riportano la taglia (nei due standard, numerico e NATO), il nome del fabbricante, due diversi codici numerici (forse legati al lotto produttivo e allo standard di produzione) ed una breve serie di indicazioni, simili a quelli già incontrati parlando dello smock.
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Brevi note integrative
Nonostante le direttive del MOD (Ministry of Defence) indicassero un unico modello di riferimento di Pattern 68, i singoli fabbricanti introdussero nel corso degli anni piccole modifiche.
Altre “migliorie” furono invece opera di singoli individui a cui l’equipaggiamento era stato distribuito.
Si è già accennato alla presenza di capi dalle tinte più vive rispetto allo standard ed alle lievi variazioni nello schema mimetico (riscontrabile soprattutto nei contorni delle macchie marroni e nere); ancora, il numero e la posizione delle etichette variano a seconda del produttore, così come il tipo di chiusura lampo (comunque rigorosamente metallica) che presenta, talvolta, un prolungamento di stoffa o una fettuccia cucita alla linguetta del cursore per facilitare l’uso con i guanti indossati.
Modifiche sono state anche osservate nel disegno delle tasche, i cui spigoli possono essere sagomati ad angolo retto o presentarsi obliqui.
Quanto ai miglioramenti apportati dai diretti utilizzatori, registriamo quelli di cui abbiamo trovato riscontro diretto.
Numerosi pantaloni mancano della field pocket: piccola e di difficile accesso, era posizionata in maniera tale da risultare, una volta riempita, scomoda specie in posizione prona. Voci non confermate sostengono inoltre che tale rigonfiamento, per la sua posizione, fosse da molti ritenuto piuttosto imbarazzante! Ad ogni modo, la sua abolizione, avvenuta con il successivo Pattern 84, non fu pianta da nessuno.
Altre paia di pantaloni sono state rinvenute prive della tasca posteriore, rimossa probabilmente perché, interferendo con la buffetteria, premeva nel punto d’appoggio delle kidney pouches o del poncho roll del webbing 58. In alcuni casi sembra sia stata riposizionata all’interno dello smock, in simmetria con la tasca già presente nella parte sinistra.
La fodera incontrò alterni consensi: benvenuta nei contesti operativi freddi e asciutti, si rivelò decisamente scomoda in altri. Quando il trattamento idrorepellente veniva meno (e succedeva piuttosto rapidamente) il pesante tessuto di cotone esterno impregnatosi d’acqua trasferiva l’umidità anche all’interno impiegando troppo tempo ad asciugarsi. Sempre la fodera, piuttosto scarsa quanto a traspirabilità, creava problemi con climi caldi o nei casi di sforzo intenso e conseguente, forte, sudorazione.
Per ovviare al problema presso molti reparti si diffuse l’uso della mimetica spezzata, abbinando lo smock in DPM ai pantaloni “lightweight” verde oliva, che non erano foderati. Laddove tale pratica non veniva permessa, si ricorreva direttamente all’asportazione della fodera: in qualche caso con un paziente lavoro di scucitura, in altri con una brutale rimozione “a strappo” che lasciava vistosi segni, specie intorno alle cuciture della vita.
Altra modifica, piuttosto diffusa in zone a clima rigido era l’aggiunta, al fondo delle maniche dello smock, di una sorta di polsino aggiuntivo in lana, spesso ricavato da una vecchio paio di calzettoni, così come previsto nel giubbotto da paracadutisti Denison: questa soluzione evitava che il freddo penetrasse all’interno in caso di vento, ed aiutava a tenere al caldo le mani.
Diffusa già prima del pattern 68 era invece la realizzazione della piega “indelebile” sui pantaloni. Dato che in alcuni contesti rimaneva difficile mantenere l’uniforme impeccabile come da consegne, si ricorreva al trucco di “pinzare” l’angolo della riga con una cucitura (sia davanti che dietro): l’opera richiedeva buone capacità con ago e filo ma, se realizzata correttamente, forniva risultati spettacolari, facendo risparmiare ore di ferro da stiro e l’uso dei più vari espedienti per mantenere la piega.
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