Attività commerciale e scopo di lucro: spesso questi due concetti, estremamente diversi fra loro in ambito normativo, vengono fra loro confusi, soprattutto in ambito ASD.


Quella che segue vuole essere una breve guida, user friendly, che racchiuda i concetti base e la ratio legis a cui fare riferimento in caso di dubbi (fermo restando che la materia fiscale è di per se priva di certezze assolute), cercherò per quanto possibile di evitare tecnicismi ma gioco forza dovrò fare alcuni riferimenti normativi per sostanziare l’esplicazione.



Partiamo dunque dalla base, ovvero il significato dei termini:



ATTIVITA’ COMMERCIALE
: rientrano in tale ambito le vendite e/o prestazioni di servizi rese nei confronti di terzi a fronte di pagamenti in denaro o succedanei.


SCOPO DI LUCRO
: si configura nella pratica di ripartizione fra i soci degli avanzi di gestione.


Tutte le ASD nascono con natura NON COMMERCIALE e NON LUCRATIVA, alcune possono poi decidere di intraprendere ATTIVITA’ COMMERCIALE ma mai e poi mai potranno invadere il campo della lucratività.


DIGRESSIONE: Ho letto ultimamente sulle pagine di questo forum che l’associazione che si faccia pagare per una prestazione (qualunque essa sia) ma reinvesta i proventi nella associazione stessa non sia soggetta a particolari gravami burocratici. Sbagliato,come vedremo, sebbene essa mantenga la sua caratteristica di non lucratività, essa perde la caratteristica di non commercialità, con le conseguenze che andremo a vedere.



Ora, quindi, scendiamo nel particolare di quello che può essere l’unico aspetto di ns. interesse, la COMMERCIALITA’ ed accantoniamo il concetto di LUCRO che non appartiene al campo delle ASD.



Come detto sono commerciali le attività rese da una ASD nei confronti di
terzi(in corsivo perché poi andremo a definire il concetto di terzi) dietro pagamento.

DIGRESSIONE 2: In merito, inoltre, esistono delle PRESUNZIONI DI COMMERCIALITA’, ovvero delle attività tipicizzate tassativamente dall’amministrazione finanziaria come esclusivamente commerciali.



E’ importante sapere ciò in quanto, qualora si voglia far “forzatamente” rientrare una di queste fra le attività istituzionali al fine di evitarne la tassazione, ebbene lo sforzo sarebbe vano.

Presumiamo quindi che la nostra ASD voglia svolgere una qualsiasi forma di attività commerciale, nella pratica cosa comporta?
In primis, la richiesta di una partita iva alla Agenzia Entrate competente, successivamente dichiarare l’inizio attività al Registro Imprese/CCIAA competente…in ultimo, la redazione del modello UNICO e qui nascono i problemi, perché il fatto stesso di METTERE IN ESSERE ATTIVITA’ COMMERCIALE NON COMPORTA AUTOMATICAMENTE LA PERDITA DELLO STATUS DI NON COMMERCIALITA’.
Come redarre quindi il madello UNICO? Quale modello? Il modello UNICO ENTI COMMERCIALI od il modello UNICO ENTI NON COMMERCIALI?
Tale distinzione assume rilevanza soprattutto dal punto di vista degli obblighi burocratici e dei regimi contabili/fiscali.


DIGRESSIONE 3: Ciò che segue sicuramente vi confonderà, ma è mio dovere mantenere una certa onestà intellettuale e proporre il quadro normativo per quello che è: confuso e di interpretazione soggettiva.



Il TUIR (testo unico imposte sui redditi) sancisce che per valutare se un ente abbia perso la natura non commerciale si debbano prendere in considerazione parametri meramente quantitativi, elencati nell’art.149:

1) prevalenza delle immobilizzazioni relative all'attività commerciale, al netto degli ammortamenti, rispetto alle restanti attività
2) prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali;
3) prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative;
4) prevalenza delle componenti negative inerenti all'attività commerciale rispetto alle restanti spese


Secondo il TUIR è quindi molto facile desumere la commercialità di un ente, se lo stesso ha incassato 1.000€ fra tessere dei soci e donazioni ma ha incassato 1.001€ da sponsorizzazioni, l’ente è commerciale.


Il Ministero delle Finanze non è però dello stesso avviso e, tramite Circolare Interpretativa, informa che i soli parametri quantitativi sono causa necessaria ma non sufficiente per la perdita della qualifica di non commercialità.; cito: "fatti indice di commercialità [cut] non comportano automaticamente la perdita di qualifica di ente non commerciale, ma sono particolarmente significativi e inducono ad un giudizio complessivo sull'attività effettivamente esercitata [cut] (Il TUIR) non contiene presunzioni assolute di commercialità, ma traccia un percorso logico, anche se non vincolante quanto alle conclusioni, per la qualificazione dell'ente non commerciale, individuando parametri dei quali deve tenersi anche conto (e non solo quindi) unitamente ad altri elementi di giudizio [cut] sarà necessario, in ogni caso, un giudizio complesso, che tenga conto anche di ulteriori elementi, finalizzato a verificare che l'ente abbia effettivamente svolto per l'intero periodo d'imposta prevalentemente attività commerciale."


Andrebbe infatti valutato anche l’aspetto qualitativo dell’attività associativa, trascendendo l’aspetto numerico.
Cosa comporta tale analisi? Comporta che, prendendo l’esempio precedente, se la ns. ASD incassa 1000€ di quote associative tesserando ad esempio 100 soci ed organizzando svariate attività ad uso e consumo dei soli soci, una sola sponsorizzazione annua di 1.001€ sarebbe sì attività commerciale ma non comporterebbe la perdita della qualifica di ente non commerciale, in quanto la vivace attività istituzionale dell’ente è qualitativamente preponderante rispetto al parametro numerico.


Come si può facilmente capire, l’analisi qualitativa deve essere la più onesta e super partes possibile, pena la rappresentazione di una situazione dell’ente completamente “sballata” od addirittura strumentale al perseguimento di scopi contra legis.


Arriviamo quindi alla questione dei terzi.


Si considerano tali i soggetti che non siano associati all’ente o che non siano associati ad enti che operino nello stesso settore.
Estremamente importante questa puntualizzazione in quanto le attività commerciali sono de-commercializzate se rese nei confronti di soggetti non terzi all’associazione.


Ovviamente questo è solo un sunto che per sommi capi riunisce quelle che sono le linee guida a cui ispirarsi, non ha ovviamente la pretesa di fugare ogni dubbio o dare interpretazioni pratiche per ogni singola casistica, in quanto la legge stessa non affronta il singolo caso, ma si limita a definire i concetti la cui estensione porta alla risoluzioni delle varie applicazioni pratiche.


Ho preferito inoltre non approfondire i vari punti tecnici toccati (regimi fiscali, differenza fra unico enti commerciali e non, imposizione, ecc…) per evitare di scadere nello sterile tecnicismo che, per chi non del settore, può aggiungere confusione ad una materia già di per se caotica.
La speranza è quella di aver portato un po’ di luce definendo con puntualità i concetti di COMMERCIALITA’ e LUCRO.


Saluti